Fabri Fibra - L'intervista

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N-Unit
00giovedì 25 maggio 2006 18:33
Quella che segue, più che un'intervista, è una tavola rotonda in cui Fabri è stato sottoposto al fuoco incrociato dei presenti. Le domande non sono perciò esclusivamente del sottoscritto.

Sono 10 anni che canti, hai fatto un sacco di live e molteplici esperienze nell’ambito underground. Ora hai firmato con una major: ti senti in qualche modo un esordiente?

Conosco l’ambiente hip hop in tutte le trasformazioni che ha avuto, lo bazzico dal ’96, dai tempi dei primi demo, anche se in realtà la scena cambia ogni anno, a rimanere invariati sono i valori e la mentalità del movimento. No, non mi sento un esordiente, anzi, in questo momento mi sento una punta. L’aspetto fondamentale per me è sempre stato mettersi in gioco: le prime robe che ho fatto non avevano riscontro, e del resto non potevano averne, non ero certo al livello dei rapper che ascoltavo e che in quel momento rientravano nel giro del mainstream. Dopo dieci anni nello stesso mainstream ci sono arrivato anch’io: ho continuato a mettermi in gioco d’anno in anno, o meglio, di disco in disco; ogni cambio di periodo avevo un lavoro pronto, riuscendo sempre a rimanere competitivo.

Noto che nella tua biografia non c’è traccia delle uscite precedenti a “Turbe Giovanili”: ad esempio mi ha stupito la mancanza di un disco come “Sindrome”.

Guarda, la biografia l’ho presa in considerazione a partire dai miei lavori solisti. Non ho intrapreso questa strada perché volessi tutta l’attenzione rivolta su di me: il progetto Uomini di Mare stava volgendo al termine, infatti Lato a causa d’impegni lavorativi è stato costretto ad abbandonare la musica.

E tu quando ti sei accorto che sarebbe stato meglio invece privilegiare la carriera musicale?

Io la scelta l’ho fatta da poco: ho visto che tutti i soldi che guadagnavo lavorando venivano puntualmente spesi nel master del disco successivo. In questo modo però non mi muovevo: i dischi non andavano oltre le 2/3.000 copie, a livello professionale non c’era un’evoluzione…Aggiungi che, comparata agli standard americani, la mia roba non suonava, o suonava sempre meno rispetto agli altri, e ciò accadeva per un semplice motivo di soldi. E’ stato allora che ho deciso di cercare un finanziamento, qualcuno che sostenesse i miei progetti. Finalmente sono riuscito a realizzare un disco che suoni veramente bene, basti pensare che è stato masterizzato da Bernie Grundman nei suoi studi (Dr. Dre – The Chronic e 2001, ndr). L’autoproduzione non mi avrebbe mai permesso di raggiungere questo livello. Guadagnavo 900 euro al mese, 500 li spendevo in studio per ottenere un risultato appena discreto…considera che stavo con una tipa e neppure avevo i soldi per uscirci a cena! Sinceramente non pensavo, con i testi Mr. Simpatia, di approdare ad una major: avevo qualche speranza con “Turbe Giovanili”, perché era la formula che pensavo potesse andare. Ti rendi conto che non è una cosa prevedibile, non sai qual è il pezzo che potrebbe funzionare. Una delle tracce più apprezzate dell’ultimo disco è stata “Rap in Vena”, che ho inserito proprio alla fine, quasi per coprire uno spazio. A priori non può immaginare quale sarà l’impatto delle tue canzoni. Il ragionamento basilare è che serve avere alle spalle un investimento forte affinché la tua musica possa suonare. Se ami la musica dopo un po’ ti secca che, ascoltandola ad alta volume, senti il fruscio in sottofondo, dovevo fare questo salto di qualità, era necessario.

Numerose produzioni sono state affidate a Fish: com’è nata questa collaborazione?

A Capodanno 2004 ho presentato Mr. Simpatia al Rolling Stone (discoteca di Milano, ndr); nella stessa serata Fish si occupava della selezione. Non ci conoscevamo ancora di persona; in quell’occasione c’è stato modo di parlare e mi disse che aveva parecchio apprezzato il mio disco. Se uno afferma di avere gradito Mr. Simpatia significa che ha messo da parte tutti quei preconcetti di merda tipo “sono amico di quello, non posso dirti che il tuo album spacca”; anche se disso Tizio o parlo male di Caio, se la roba ti piace devi riconoscere oggettivamente che è figa. Fish si è preso bene con il disco e mi ha detto che aveva delle basi che sarebbero state bene con i miei testi. Il giorno dopo sono andato in studio da lui. Lo stesso era accaduto all’incirca con Neffa: mi aveva chiamato il giorno dopo il Mortal Kombat (contest di freestyle svoltosi al Palladium nel 2000 e vinto proprio da Fibra, ndr), complimentandosi ed invitandomi da lui a Bologna per farmi sentire delle produzioni che non avrebbe usato. Sono sempre andato da chi mi chiamava, non ho mai fatto troppi calcoli come “adesso mi serve questo” o simili, non ho mai detto di no.

In due pezzi di questo nuovo disco vai apertamente contro Vibra: che rapporto hai con loro, cos’è successo?

Vibra ha curato la distribuzione dei miei lavori sin da “Sindrome di Fine Millennio”; quando è nata l’etichetta Vibrarecords sono entrato nel roster dei loro artisti. Si tratta un’etichetta indipendente, e ciò mi poneva un sacco di limiti: non erano loro a pagarmi lo studio, dovevo pensarci io; non erano loro a provvedere alla gestione delle mie serate, dovevo organizzarle da me; si limitavano soltanto a lanciare il disco e ad occuparsi della sua distribuzione, senza neppure preoccuparsi della pubblicità. Quando sono stato contattato dall’Universal ho proposto a Vibra di sentire cos’avessero da dirci, ma loro non ci hanno creduto, non pensavano potesse esistere un interesse reale. Non rispondevano neppure al telefono! Ho cercato di fargli capire che si trattava di un’occasione unica: in America 50 Cent ha la sua etichetta indipendente, che attraverso la major lancia i dischi sul mercato. E’ esattamente quello che sarebbe potuto accadere nel nostro caso: prendiamo tutta Vibra e venite sotto Universal, cosicché ogni artista abbia lo spazio per venire fuori. Invece mi è stato risposto che il mio passaggio ad una major sarebbe stato un tradimento, poiché secondo loro io avrei preso da Vibra solo ciò che mi serviva. Dimenticandosi che Mr. Simpatia era, in realtà, un disco inesistente: entravo nei negozi e non ce l’aveva nessuno, non era distribuito, la gente ignorava chi fossi. Arrivato al quinto disco mi aspettavo almeno un lancio più consistente; ho proposto loro di fare un video, mi è stato risposto che sarebbe stato inutile perché nessuno l’avrebbe passato. Avevano ragione, in un certo senso, però non c’è stato neppure lo sforzo di cercare una strategia alternativa.
In Italia c’è ancora questa guerra assurda, sembra che chi arrivi ad una major precluda la possibilità a tutti gli altri; la vera guerra dovrebbe essere in realtà cercare di produrre roba talmente figa che le case discografiche devono cercare di averla a tutti i costi.

(interviene Paola, manager di Fibra) Questo punto è cruciale, non solo per Fabri ma per l’hip hop in Italia; ora che le cose piano piano stato cambiando c’è la possibilità di evitare questi contrasti inutili: chi arriva ad una major non ruba il posto a nessun’altro. Si tratta di allargare il mercato in una maniera intelligente, con dei prodotti ben fatti: lo spazio ci sarà per tutti, per forza, ma fino a che ci saranno queste gelosie stupide non sarà possibile. Ora si vedrà chi è in grado di parlare con le major, chi è in grado di parlare con Mtv o con Radio Deejay: le opportunità ci sono, chi è capace di coglierle?

Fibra: più che la capacità penso conti la voglia…si vedrà davvero chi vuole farlo. Io non bramavo così alla follia questo momento, come dice mio fratello quando speri tanto in una cosa nell’istante in cui la raggiungi è finito tutto. Potrebbe essere vero, la magia della musica è sempre pensare a dove ti potrà portare. Nell’hip hop italiano i gruppi hanno iniziato a farla in maniera troppo meccanica, ascoltavi i dischi e capivi chiaramente qual era il singolo, e lì quella magia tra di noi si è persa. Io sono uno che ascolta tutti i dischi italiani, ma se ho sfanculato la scena non è, come ha detto qualcuno, perché sono impazzito, bensì per un motivo preciso, non tolleravo più questo atteggiamento: finché siamo tutti nella merda va bene, quando hai un attimo più di successo rispetto agli altri vieni mitragliato. Non so questa gente che crisi mentali avrà avuto, ho provato a immaginarmelo…vengo dall’underground, se la gente che prima mi stimava ora mi insulta significa che non mi ha mai amato veramente; non cambio genere, tutt’altro, sfanculo chi mi sfancula.

Ciononostante in molti hanno continuato a supportarti, alcuni ti considerano forse il primo artista ad essere arrivato al mainstream rimanendo coerente alla sua carriera precedente. A cosa pensi possa essere dovuto?

Sono sempre stato un sostenitore della causa del rap, penso che la gente mi riconosca quest’aspetto. Non ho mai partecipato alla jam per fare presenza, non mi interessava farmi vedere e non ho mai cercato la gloria. Io voglio semplicemente fare questa musica fino a quando non mi sarò chiarito le mie situazioni mentali…dopo che mi sarò messo con una pornostar probabilmente mollerò tutto! (risate). Non mi sento una star, mentalmente sono ancora al periodo in cui spedivo in giro i miei demo su cassetta e cercavo di ottenere i primi feedback. Non mi sono mai visto come quello che è “andato su”, anche perché intorno al mio nome c’è sempre stato grande equilibrio, per uno che diceva che spaccavo ce n’era sempre un altro pronto a darmi del coglione. Quando ascolto l’hip hop da semplice fan la roba che mi prende è di quella gente che quando fa musica non si aspetta granchè, ma punta soltanto a fare del buon rap. Ci sono stati periodi in cui leggevo le interviste agli ex-Sottotono o agli Articolo 31, ed alla domanda su che genere di musica facessero non sapevano cosa rispondere: quando sarebbe stato il momento di farsi portavoce dell’hip hop tutti si tiravano indietro. Approdati ad una major si dimenticavano dell’ambiente che avevano frequentato fino a poco tempo prima. Questo ha dato fastidio alla gente. Io non ho problemi a dirlo: sono stato per dieci anni nella scena, ho prodotto un sacco di roba e ho scazzato con tutti, non ho bisogno di far vedere che vivo sulla luna. La gente ha probabilmente riconosciuto questa semplicità.

Come sono i rapporti con Tormento? Avete tentato un riavvicinamento?

Io dall’underground sono arrivato alla major, altra gente è partita dalla major per approdare all’underground, capisci? E’ una questione di atteggiamento, quello di chi vive sulle nuvole, poi torna tra di noi e vede che alla fin fine siamo tutti nello stesso water a pisciarci addosso. Il discorso con lui è nato da una rima (non vivo questo tempo/ io non canto come un gay come quel cazzo di Tormento, ndr), così come ho fatto una rima a molta altra gente, non perché non trovassi una rima con “tempo”, intendiamoci. Quando esci col rap in Italia sono subito pronti a definirti come “il nuovo Jovanotti”, “il nuovo Eminem”: per arrivare ad ottenere una recensione in cui non venissi paragonato a nessuno, ho voluto mettere in chiaro che io non sono come loro. Non canto come un gay come Tormento, non mi scopo le donne come La Pina che rappavano, non sono come i Gemelli Diversi. Alla gente non devi descrivere il tuo ego, piuttosto conviene evidenziare che il tuo ego “non è uguale a quello di”. Adesso tutti i giornali scrivono che Fabri Fibra è “unico” e “non assomiglia a nessuno”: ho dovuto dissare mezza Italia, ma alla fine ci sono riuscito…Se il prezzo da pagare affinché la gente capisca che io sono diverso da Tormento è uno scazzo con Tormento stesso, allora va bene. Io non scrivo rime come “cuore-amore-dolore”, sono molto più crudo, non faccio “La Mia Coccinella”, e non la farò mai. Se in questo momento mi riconosco migliore di te devo mostrarlo a tutti quanti, non mi interessa chi sei ne chi sei stato.

Qual è il tuo rapporto con la dimensione live della musica? Qual è la differenza tra una serata prettamente hip hop ed un concerto in una discoteca?

Sono riuscito a procurarmi le prime serate grazie alle recensioni di Aelle, in calce alle quali c’era il mio numero di telefono. Da lì è iniziata una lunga gavetta grazie alla quale ho imparato ad affrontare le serate. Quando la gente che assiste ai tuoi live inizia a farsi numerosa devi studiarti qualcosa di diverso: se il locale si riempie devi proporre uno show a cui valga davvero la pena assistere. Dopo un po’ viene a mancare il limite del “siamo artisti, ma tutti amici”: la gente che viene si aspetta qualcosa, tuo compito è accontentarla. Nella situazione attuale, per proporre il mio live, devo trovare un dj fisso, qualcuno che mi faccia le doppie, crearmi uno spettacolo. Ad ogni concerto realizzi come comportarti in quello successivo. A volte capitano quelle serate di “sputtanamento” a cui partecipi soltanto per i soldi, altre invece suoni per la gente che sta sotto al palco; sono il primo a riconoscere che l’Universal non mi avrebbe mai chiamato se non ci fosse stata la gente che partecipava alle mie serate. Il primo contatto c’è stato infatti dopo un live svoltosi al The Black (locale di Milano,ndr) in cui avevo riempito il locale. La stessa cosa successe con i 99 Posse, avevano un seguito così importante che li portò ad ottenere un contratto. Tra la serata riconducibile alla “scena” e quella invece che ne è estranea ci sono differenze organizzative; non so, nella classica jam puoi dare spazio ad un gruppo spalla, hai modo di dare una chance a qualcun altro. Non mi stancherò mai di ripetere da dove vengo, quali sono i passi che ho compiuto in questi anni. Vorrei che la gente credesse a questa cosa: arrivare ad una major non è una paraculata, come poteva essere in altri tempi, quando arrivavi sui media solo tramite conoscenze. Io vengo da una cittadina di 40mila abitanti, alle spalle non ho nessuno, sono giunto fino a qua solo rompendo i coglioni a chiunque. Mi prenda di esempio chi è nelle mie stesse situazioni: se vivi in una città di merda, non conosci nessuno e fumi un casino, fai come Fabri Fibra!

In Italia, a livello hip hop, c’è una grande attenzione per quanto accade entro i nostri confini, mentre, soprattutto tra i più giovani, c’è scarso interesse per la storia e per le evoluzione che questa musica conosce all’estero. Non pensi che dovremmo “sprovincializzarci”?

Considera che sono sempre l’interesse e la passione a portarti avanti: posso proporti diverse alternative, ma se a te piace quello non ti sposterai dalle tue posizioni. E’ un aspetto che, in effetti, è più presente in altri generi: non so, i ragazzi che ascoltano rock si vantano di quanta roba conoscono più degli altri; magari sanno tutte le ultime uscite, anche le più cazzute, poi ti vengono a dire che come i Led Zeppelin non c’è nessuno…Sento molto di più questo discorso di vedere chi c’è stato prima. Nel rap il problema è che prima della musica arriva lo stereotipo, tipo il cappellino, la macchinona o la puttana; nei video la musica passa in secondo piano, la prima cosa ad emergere è questa spacconeria.

Che immagine pensi abbiano gli americani del nostro rap?

Penso che quando ad un americano domandi come si immagina l’Italia lui ti chiede se abbiamo i supermercati. Uno scenario come il “Padrino”, hai presente? Aperta campagna e queste cose qua…
Quando ho avuto modo di commissionare il logo “Fabri Fibra” a Mr. Cartoon (noto tatuatore di Los Angeles, ndr), prima di realizzare il lavoro mi ha chiesto di sentire la mia musica; se gli fosse piaciuta, nessun problema. Nonostante fosse scettico, si è preso davvero bene! Loro neppure se lo immaginano come siamo noi. Internet può essere un’ottima cosa in quest’ambito, per ridurre le distanze. L’importante credo sia mantenere una nostra connotazione: penso che un americano che ascolti il nostro rap si aspetti qualcosa di davvero italiano, e non voglia un italiano che gioca all’americano. Dobbiamo dare loro un motivo per poterne parlare.

Tornando a “Tradimento”, come ti senti ad avere avuto carta bianca da una major?

Quando mi muovevo nell’autoproduzione pensavo al giorno in cui sarei arrivato ad una realtà discografica così importante e mi chiedevo quali pugnette avrei dovuto fare per presentarmi. Invece sono arrivato qua e già mi conoscevano tutti, sapevano persino i miei testi a memoria! Le major parlano e si interessano di noi non se gli spediamo i dischi, bensì quando dall’esterno gli giunge voce della nostra esistenza: tanta gente qui dentro mi diceva di avere amici che parlavano di questo Fabri Fibra. Mi hanno tranquillizzato, nessuno mi ha chiesto di cambiare, anzi, dopo avere sentito i primi pezzi quasi si stupivano per le poche parolacce. In realtà io prima ho preparato il disco, poi l’ho portato qua, per qui l’ambiente della major mi ha influenzato relativamente. Forse per il prossimo lavoro la pressione sarà maggiore, non so. Comunque è tutto molto diverso da come uno se lo immagina: ti assicuro che nessuno mi ha messo alcun paletto. Figurati che, quando ho firmato il contratto, l’editore mi chiedeva addirittura il significato di certe rime! L’etichetta non ha in alcun modo influenzato i contenuti del disco; l’unica censura ha riguardato uno skit su Nassiriya, non per motivi ideologici, bensì perché un’eventuale pubblicazione avrebbe richiesto dei permessi speciali da parte del Ministero e dei parenti delle vittime. Tutto il resto non è stato modificato o addolcito in alcun modo.

Gli impegni sono pressanti, the time is over. Il tempo di dare fondo agli ultimi tramezzini e tocca abbandonare il paese dei balocchi. Il sottoscritto e la redazione di Hotmc ringraziano Fabri per la grande disponibilità, nella viva speranza che questo sia solo l'inizio. Un sentito grazie anche al management di Fibra, of course.

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